Il leggendario guerriero comincò a guidare la resistenza contro gli invasori
nel 1923. Combattè per dieci anni con abilità. Fino alla cattura e alla morte
OMAR AL MUKHTAR, UN EROE LIBICO
CONTRO L'ITALIA COLONIALISTA
di MASSIMILIANO TENCONI
"Contro chi ha combattuto?" " Ho combattuto contro
il Governo italiano."
"A quante battaglie ha preso parte?"
"A molte. Non ho potuto contarle esattamente. Comunque
anche quelle a cui non ho preso parte furono portate
avanti sotto i miei ordini"
"Ha mai sparato?" "Sì. Diverse volte" (...)
"Sì ho ordinato di uccidere" (...) "La guerra è guerra".

Il processo
Il 15 settembre 1931, in un'aula del Palazzo Littorio di Bengasi gremita sia di italiani sia di libici, aveva inizio un processo ad un imputato particolare. Il suo nome era Omar al Mukhtar, allora poco più che settantenne, leader indiscusso della resistenza del popolo
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Omar al Mukhtar
libico all'occupazione italiana. Era stato catturato solo quattro giorni prima nel corso di uno scontro armato e, in quell'occasione, era rimasto anche lievemente ferito. Portato immediatamente nelle prigioni di Bengasi, prima del processo subì un duro quanto sprezzante interrogatorio da parte del vice governatore Graziani che, nelle sue memorie, ricorderà: "Cerca di stendermi la mano, ferrata, ma non lo può, perché non arriva. Del resto, non l'avrei toccata".
Il processo a Palazzo Littorio ebbe inizio alle 17 di pomeriggio e si protrasse per alcune ore. All'imputato furono mossi ben 16 capi d'accusa che spaziavano dalle azioni di guerra ai furti di bestiame. Omar al Mukhtar rispose a tutte le imputazioni mossegli contestando quella riguardante l'alto tradimento poiché, faceva notare, non era mai stato cittadino italiano, né aveva mai accettato di sottomettersi al potere coloniale. Per il resto ammise di essere il capo della ribellione da almeno dieci anni e si assunse tutte le responsabilità di ciò che in quel periodo era stato compiuto contro l'Italia e gli italiani. La sentenza, ad ogni modo, era già stata scritta prima dell'inizio del processo stesso. Alle ore 20 i giudici emisero il loro giudizio che prevedeva la condanna a morte dell'imputato.

Inutile fu l'accorata difesa sostenuta dall'avvocato d'ufficio, il capitano Lontano, che, per via delle sue parole giudicate troppo apologetiche, fu successivamente punito con dieci giorni di rigore. Il giorno seguente, di buon ora, Omar al Mukhtar fu condotto al campo di Soluch. Alle 9 di mattina, anziché essere fucilato come aveva chiesto, fu impiccato come un ladro comune davanti a 20 mila libici. La sua esecuzione doveva servire da esempio per spezzare irrimediabilmente ogni speranza di ribellione dei libici ed in effetti, pochi mesi più tardi, il 24 gennaio 1932, il governatore Badoglio poteva dichiarare che la rivolta in Cirenaica era ormai completamente domata.

L'occupazione della Libia
Le mire coloniali italiane sulla Libia avevano preso piede dopo che l'Italia aveva visto svanire l'opportunità di appropriarsi della Tunisia sottoposta, nel 1881, ad un protettorato francese. Di fronte a tale avvenimento gli italiani cominciarono a guardare con un certo interesse alla Libia, allora suddivisa in due distinte province, la Tripolitania e la Cirenaica, entrambe sottoposte al controllo dell'Impero ottomano. La strada da percorrere per arrivare a Tripoli, però, era irta d'ostacoli e fu lunghissima. Nei decenni successivi la diplomazia italiana lavorò attentamente presso le cancellerie straniere al fine di ottenere il via libera per il proprio insediamento in Africa settentrionale e, contemporaneamente, integrò tali azioni con manovre di penetrazione in campo economico. Un esempio è costituito dalle attività del Banco di Roma che, istituita una sua succursale a Tripoli, finanziò imprese ed attività commerciali. A questa rete, stesa nell'arco di trent'anni, si aggiunse poi l'appoggio che l'impresa cominciò a godere da parte dell'opinione pubblica la quale assunse sempre più apertamente una posizione in favore dell'occupazione. In questo senso particolarmente importanti furono soprattutto i mesi tra la primavera e l'estate del 1911 quando l'Italia "conobbe un momento magico, di grande esaltazione, di collettiva infatuazione". Il miraggio della quarta sponda investì gran parte del paese e la Libia, da scatolone di sabbia, diventò nell'immaginario una tra le più rigogliose terre del mondo.

Nonostante alcune autorevoli voci che si opponevano al progetto, nel settembre del 1911 il capo del Governo Giovanni Giolitti decise che era ormai giunto il momento di
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Dopo l'arresto
passare all'azione e, il 28 dello stesso mese, l'ambasciatore italiano a Costantinopoli consegnò la dichiarazione di guerra. L'impresa italiana non incontrò inizialmente ostacoli profilandosi come una semplice passeggiata militare. Al contrario di quanto era stato previsto, però, le popolazioni arabe anziché appoggiare gli italiani in chiave antiottomana fecero causa con i turchi. La loro rivolta iniziata il 23 ottobre seguente a Sciara Sciat era destinata ad aprire un periodo d'opposizione che si protrasse per un ventennio. Alla rivolta araba gli italiani risposero adottando il pugno di ferro: i fucilati e gli impiccati furono centinaia; almeno tremila, invece, coloro che nel giro di un anno furono deportati nelle isole Tremiti, a Ponza, a Ustica, a Gaeta e Favignana.
Nonostante queste misure gli italiani si trovarono assediati nelle città costiere e tentarono invano di porre fine al conflitto estendendo la guerra al Dodecaneso. Fallita anche questa operazione, non rimase che la strada della trattativa. I negoziati di pace si aprirono in Svizzera nell'estate del 1912 e si conclusero, causa anche lo scoppio della prima guerra balcanica, con l'accordo siglato il 18 ottobre di quell'anno ad Ouchy.
L'accordo di pace con i turchi, tuttavia, non significò la cessazione delle ostilità. Le truppe italiane, infatti, nel loro tentativo di penetrare nel paese trovarono una forte ostilità sia in Tripolitania sia in Cirenaica e i risultati raggiunti poggiavano basi molto fragili destinate a crollare con il divampare del primo conflitto mondiale.

Supportati dai turchi, gli arabi libici riuscirono a riprendere il controllo delle regioni della Tripolitania e del Fezzan e gli italiani si videro così costretti a ripiegare sulla costa lasciandosi alle spalle fra morti, feriti e prigionieri oltre 10 mila uomini. Nell'estate del 1915 gli italiani conservavano solo il possesso delle città di Tripoli e Homs in Tripolitania, di Bendasi, Tobrouck e di altri piccoli centri in Cirenaica. Per la seconda volta nel giro di pochi anni, dunque, gli italiani furono costretti a rendersi conto dell'impossibilità di occupare pienamente la Libia e così cercarono di venire a patti con i poteri locali. Nel giugno del 1919, pertanto, i capi arabi ottennero lo statuto per la Tripolitania, mentre per la Cirenaica l'anno seguente fu rafforzato un accordo stipulato tre anni prima con Moahmed Idris cui ora veniva concesso il titolo d'emiro ed un'ampia autonomia di governo. Queste intese, però, furono di breve durata. Nel 1921, infatti, con l'arrivo in Tripolitania del nuovo governatore Giuseppe Volpi si assistette ad un cambio di strategia e alla ripresa della politica della forza. In Cirenaica accadde lo stesso e, nell'aprile del 1923, il governatore della regione, il generale Bongiovanni, proclamò la decadenza dei trattati stipulati in precedenza e Idris fu costretto ad abbandonare il paese trovando rifugio in Egitto. La ripresa delle campagne militari fra il 1922 e il 1925 portò in Tripolitania alla riconquista della zona definita "utile", mentre l'avanzata in Cirenaica fu limitata all'allargamento d'alcune teste di ponte già presenti. In questa regione, del resto, le armate italiane dovettero confrontarsi con il genio militare di Omar al Mukhtar.

Omar al Mukhtar

Omar al Mukhtar era nato all'incirca nel 1860 in Marmarica. Dopo la morte del padre si era trasferito a Giarabuab e lì era entrato in stretti contatti con la principale famiglia sennussita accattivandosene le simpatie. I suoi studi alla scuola cranica fecero sì che, all'età di quarant'anni, fosse nominato capo della comunità religiosa di El Gsur. I Senussi erano un'organizzazione musulmana, nata nel 1833 per iniziativa di Alì al Senussi, la quale si proponeva il rinnovamento dell'Islam e la liberazione dei paesi arabi da qualsiasi influenza europea. Dopo la sua nascita, la Senussia, aveva progressivamente esteso la sua influenza oltre che in Cirenaica nell'Egitto occidentale e nella zona del Sahara orientale.
Dal punto di vista organizzativo la Senussia era articolata nelle zavie, ossia dei centri di potere politici e religiosi periferici, grazie ai quali erano regolate le attività commerciali, amministrative e quelle giudiziarie delle popolazioni seminomadi. Nei confronti dell'occupazione italiana il suo atteggiamento era stato il medesimo di quello assunto nei riguardi dell'occupante ottomano: la Sanussia riconosceva cioè agli stranieri una sovranità nominale ed il controllo della zona costiera a patto che non fosse intaccata la sua autorità all'interno del paese. Questa impostazione, come si è visto, era stata formalizzata con gli accordi sottoscritti tra gli italiani e il senusso Moamhed Idris che poi fu costretto all'esilio.

Nel 1923, quindi poco più che sessantenne, Omar al Mukhtar ricevette proprio da parte di Idris l'incarico di organizzare la resistenza contro gli italiani. Un ritratto del leader libico capace di tenere a lungo in scacco l'esercito italiano, ci viene fornito da Rodolfo Graziani:
"Di statura media, piuttosto tarchiato, con capelli, barba e baffi bianchi, Omar al Mukhtar era dotato di intelligenza pronta e vivace; era colto in materia religiosa, palesava carattere energico ed irruente, disinteressato ed intransigente; infine, era rimasto molto religioso e povero, sebbene fosse stato uno dei personaggi più rilevanti della Senussia".
Il comandante delle Bande Irregolari Indigene di Apollonia, Livio Dall'Aglio, cui Omar al Mukhtar fu consegnato dopo la cattura, lo ha descritto invece nei seguenti termini:
"Gli occhi, vivacissimi, colpivano subito per una certa espressione di malizia e di furbizia. Aveva un che di grifagno, forse a causa di della forma leggermente arcuata del naso e per la profondità delle rughe, che gli tagliavano la fronte fin sopra le ciglia e gli incorniciavano la bocca perdendosi nel mento, ma ne veniva fuori un'oscura nota dolcezza che attraeva. A tutta prima, lo si poteva giudicare superbo ed orgoglioso, ma dopo un esame più attento ci si accorgeva che nella sua fierezza c'era molta nobiltà".

Con la nomina ricevuta da Idris cominciò il lungo periodo nel quale Omar al Mukhtar
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Davanti al tribunale militare
si proclamò "capo del governo della notte". Il patriota libico riuscì a creare un'organizzazione snella, e strettamente collegata con le popolazioni locali, che fu capace di tenere testa alle più forti, sia per numero sia per armamento, formazioni militari italiane. La perfetta conoscenza del territorio fu certamente un punto a suo favore, ma egli poté contare sia sull'appoggio della popolazione e del mondo rurale libico disposto ad accettare enormi sacrifici, sia sull'aiuto proveniente dall'Egitto da dove Moamhed Idris che gli inviava armi e rifornimenti. La sua struttura militare arrivò al massimo a contare millecinquecento uomini i quali agivano in maniera fulminea attaccando l'avversario e sfuggendo repentinamente alla sua morsa.
Una tattica del logoramento che poté essere stroncata soltanto facendo ricorsi ai metodi di lotta più duri e terribili. Omar al Mukhtar, ha scritto lo storico Angelo del Boca, "colpisce, poi si ritira e svanisce nel nulla, creando nell'avversario, che ricerca invano una battaglia risolutiva, rabbia e un senso di frustrazione". Con il suo "esercito della fede" Omar al Mukhtar riuscì a mantenere di fatto il controllo del territorio pungendo costantemente gli avamposti italiani - in dieci anni si contarono 53 combattimenti e i 210 scontri - e contemporaneamente continuò a percepire le imposte e a gestire l'amministrazione della giustizia.
Nel luglio del 1930, Badoglio inviò a De Bono una relazione nella quale evidenziava sia il prestigio sia le grandi capacità del combattente libico:
" La ribellione si impernia su di un uomo che gode di un'autorità e di un prestigio assoluti. Omar al Mukhtar non divide il suo potere con alcuno. Ha solo luogotenenti devoti e disciplinati. (...) In tutti i momenti ed in ogni circostanza la sua sola ferma volontà detta legge. E' abilissimo come comandante e come organizzatore".

L'occupazione dell'oasi di Giarabub e l'arrivo di Badoglio e Graziani
Il processo di penetrazione da parte degli italiani, nel frattempo, non si era certo arrestato. Contrariamente a quanto era avvenuto in passato, l'esercito modificò la sua impostazione sfruttando il più possibile le unità mobili ed utilizzando per l'occupazione colonne estremamente leggere. Nel febbraio del 1926 una colonna guidata dal colonnello Ronchetti si spinse fino all'oasi di Giarabub, centro senusssita dove era accertata sia la presenza di ribelli sia il contrabbando d'armi. La marcia delle truppe italiane avvenne in tre tappe e il 7 febbraio il capo dell'oasi si presentò ai vertici militari italiani compiendo atto di sottomissione. Dopo una momentanea sosta delle operazioni, all'inizio del 1928 l'occupazione faceva nuovi passi avanti grazie alla conquista d'importanti capisaldi lungo il 29° parallelo, ovvero sulla linea che congiungeva la Tripolitania alla Cirenaica.
Questo permise al maresciallo Badoglio di assumere, nel 1929, il governatorato d'entrambe le colonie. Giunto a Tripoli il 24 gennaio, il nuovo governatore emanò due proclami. Il secondo, rivolto ai libici, terminava con toni minacciosi nei confronti di quanti intendevano contrastare "l'invincibile forza dell'Italia" promettendo loro la più dura inflessibilità. Lo stesso anno, nel mese di novembre, Rodolfo Graziani iniziò le operazioni per la riconquista della regione del Fezzan. La campagna fu articolata in tre distinte fasi. Negli scontri con i patrioti libici l'esercito italiano perse circa duecento uomini, ma riuscì a costringere le principali figure della resistenza a riparare in Algeria o nell'oasi di Cufra in Cirenaica.

Alla fine del mese di marzo i reparti italiani non avevano ormai più ostacoli e si spinsero fino al limite estremo della Tripolitania.
A quella data il territorio libico era ormai controllato dagli italiani per circa tre quarti. A resistere rimaneva solo l'oasi di Cufra e l'altopiano del Gebel dove agiva appunto Omar al Mukhtar. Il 10 gennaio del 1930, Badoglio inviò un dispaccio al vicegovernatore Siciliani
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Condannato a morte
per impiccagione
esponendo la sua strategia per eliminare l'ultimo baluardo d'opposizione: "Continui rastrellamenti e vedrà che salterà fuori ancora qualcosa. Si ricordi che per Omar al Mukhtar occorrono due cose: primo, ottimo servizio d'informazioni; secondo, una buona sorpresa con aviazione e bombe iprite. Spero che dette bombe le saranno mandate al più presto".
Per stanare l'anziano e astuto combattente i metodi convenzionali non erano però sufficienti. Se ne rese conto Graziani che nel mese di giugno compì un vasto rastrellamento ottenendo risultati alquanto modesti. Di fronte all'insuccesso del vicegovernatore della Cirenaica, Badoglio impartì una durissima direttiva: "Bisogna anzitutto creare un distacco territoriale largo e ben preciso fra formazioni ribelli e popolazione sottomessa. Non mi nascondo la portata e la gravità di questo provvedimento che vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa". Ma, nonostante questo, la via era ormai tracciata ed era necessario perseguirla - concludeva senza alcuna pietà - "anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica".

Per avere la meglio su Omar al Mukhtar era necessario fargli attorno terra bruciata. Il primo provvedimento in tal senso fu l'esproprio dei beni mobili ed immobili delle zavie senussite cui fece seguito la deportazione di 33 capi religiosi ad Ustica. Contemporaneamente, a partire dal 27 giugno 1930, ebbe inizio lo sgombero totale dell'altopiano cirenaico. Il costo di tale operazione fu pesantissimo: almeno 100 mila libici furono deportati dal Gebel e poi dalla Marmarica nei numerosi campi di concentramento allestiti dal fascismo dove ad attenderli vi erano la fame, le malattie e le immancabili violenze. 40 mila di loro morirono in prigionia. Eliminato il sostegno interno, Graziani cercò di aumentare ulteriormente l'isolamento dei patrioti libici bloccando i rifornimenti provenienti dall'esterno ed in particolare dall'Egitto. Nel giro di pochissimi mesi fu a tal fine costruito un lungo reticolato che, partendo dal golfo di Sullum, percorreva quasi trecento chilometri terminando poco oltre l'oasi di Giarabub. Privo ormai di qualsiasi appoggio e braccato da ben quattro battaglioni di ascari eritrei, Omar al Mukhtar riuscì a resistere ancora per un anno potendo contare su un numero di fedelissimi che però, con il passare dei mesi, si assottigliava sempre più.
"I beduini - rispose a chi gli domandò come aveva fatto a sopravvivere negli ultimi mesi - sono come gli uccelli dell'aria, si accontentano di poco e trovano da mangiare anche dove non ce n'é". Dopo la serie di provvedimenti assunti da Graziani per Omar al Mukhtar era però impossibile continuare ad oltranza nella sua battaglia. L'11 settembre del 1931 una pattuglia di Savari intercettò Omar e i suoi uomini.

Vi fu una breve sparatoria e il cavallo del guerrigliero libico rimase colpito; al Mukhtar cercò di nascondersi, ma fu scoperto e riconosciuto. Fu immediatamente trasferito al porto di Apollonia per poi essere tradotto a Bengasi. Il suo trasferimento via mare fece perdere in lui la speranza di un intervento dei suoi guerriglieri per liberarlo. Pochi giorni dopo, come si è detto, Omar al Mukhtar veniva giustiziato dopo un processo farsa e alla resistenza libica non rimasero che pochi mesi di vita. L'ultimo colpo inferto al protagonista dell'opposizione all'occupazione coloniale italiana, è storia recente. Nel 1979, infatti, il regista siro-americano Mustapha Akkard, portò a termine un lavoro cinematografico nel quale erano narrate le vicende di Omar al Mukhtar. L'anno seguente il film, intitolato il Leone del deserto e comprendente attori dal calibro di Antony Quinn e Oliver Reed, uscì in tutte le sale del mondo eccezion fatta per l'Italia. A porre il veto fu l'allora sottosegretario degli esteri Raffaele Costa a giudizio del quale la pellicola ledeva l'onore dell'esercito.
BIBLIOGRAFIA
  • Italiani, brava gente?, di A. Del Boca - Neri Pozza Editore, Vicenza 2005, pp. 165 - 184.
  • Gli italiani in Libia, di A. Del Boca, vol. II - Mondadori, Milano 1993.
  • L'Africa nella coscienza degli italiani. Miti, memorie, sconfitte, di A. Del Boca - Mondadori, Milano 2002.
  • Omar al Mukhtar, credente e stratega, di A. Del Boca, in Nigrizia, 1° aprile 1998.
  • Le ultime ore del Garibaldi della Libia, di P. A. Paganini, in Storia Illustrata, 272, luglio 1980, pp. 46-54.