In quindici anni appena, all’inizio del XIX secolo, tutta l’America latina conquista la sua indipendenza. Tuttavia il continente si frammenta rapidamente, nonostante le speranze e i voti di Simon Bolivar.
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Nascita delle nazioni ispano-americane
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A partire dal 1808 tutta l’America latina viene coinvolta in un movimento che la conduce, attraverso guerre spesso lunghe, alla completa indipendenza: vengono create 11 nuove repubbliche (12 se si considera anche il Brasile). Le prodezze dei “Libertadores” nazionali (i “liberatori”, in senso militare, parola inventata a quel tempo) popolano le memorie di ogni nazione e Simon Bolivar ne è l’esempio più compiuto.
Un avvenimento così importante doveva necessariamente dare la nascita ai grandi racconti patriottici, formatisi durante il XIX secolo. Racconti quasi unanimi di nazioni che si sono sbarazzate del pesante giogo di una colonizzazione diventata insopportabile. Per loro Madrid, tiranneggiando le sue colonie con leggi retrograde, ne avrebbe impedito la prosperità, per meglio assicurarsi la dominazione, mentre nello stesso tempo ogni reame dell’Impero spagnolo poteva sviluppare una propria identità. Finalmente però, dopo 15 anni di accaniti combattimenti, l’indipendenza è diventata un fatto compiuto con la fondamentale partecipazione del popolo. Questa lettura, chiaramente agiografica, eroica e patriottica del passato è quella che si è effettivamente imposta nell’immaginario collettivo delle popolazioni ispano-americane per la semplicità della sua logica e la sua forza intrinseca. Tuttavia nel corso degli anni Novanta del XX secolo i lavori di diversi storici hanno cominciato a evidenziare notevoli perplessità in relazione a questa visione dei fatti. In realtà gli eventi dell’indipendenza latino americana sono oggi interpretati in maniera molto diversa: le giovani repubbliche non furono il prodotto di un movimento di ribellione al potere coloniale spagnolo e non sono state neanche il frutto della lenta maturazione di un sentimento nazionale. In definitiva le nazioni, sorte dai movimenti degli inizi dell'Ottocento in America latina, non sono state le madrine dell’indipendenza, piuttosto le figlie di quest’ultima.
Tutto ha inizio in Spagna
Nel 1808 Napoleone invade la penisola iberica e costringe ad abdicare in suo favore i due legittimi monarchi spagnoli, Carlo IV e suo figlio Ferdinando VII. L’imperatore francese affida il trono dei Borboni a suo fratello Giuseppe Bonaparte, suscitando una violenta reazione patriottica. La popolazione di Madrid si solleva per prima, seguita in rapida successione dalle altre province della Spagna. La vecchia monarchia iberica entra allora in un clima di paradossale rivoluzione. I patrioti spagnoli devono infatti sostituirsi al vuoto di potere esistente per potersi organizzare in ordine di battaglia contro gli eserciti imperiali napoleonici.
La vacanza del trono obbliga le province a designare dei governi autonomi, le Juntas provinciali. Il 25 settembre 1808 queste si federano in una Junta Suprema Centrale di Spagna e delle Indie, che governa in nome del re prigioniero Ferdinando VII. Di fatto la sovranità torna nelle mani del popolo, ma pur sempre un popolo dell’ancien regime, suddiviso in corpi e ordini sociali.
La questione della rappresentazione legittima del regno divide la resistenza spagnola. Nello stesso tempo in cui viene dissolta la Junta Centrale sotto la minaccia dell’esercito francese, vengono convocate le Cortes, istituzioni storiche della Spagna. Quest’ultime, assemblee tradizionali della monarchia, a differenza del passato vengono elette solamente dal popolo e non sono articolate in ordini.
Allorché le Cortes si riuniscono a Cadice, alla fine del settembre 1810, esse proclamano la sovranità della Nazione, intesa come una associazione volontaria di cittadini, liberi e uguali, rovesciando le istituzioni “feudali” e l’assolutismo. Le Cortes si dichiarano altresì “costituenti” e la Spagna compie in tal modo la sua rivoluzione liberale. Curiosa situazione questa, dove le Cortes costruiscono una Costituzione in nome del Re, di cui nel contempo distruggono il relativo potere assoluto e nello stesso tempo ispirano i valori costituzionali a quelli di un nemico, con il quale sono in netta e feroce contrapposizione.
Che succede nel frattempo in America durante questa crisi? Le popolazioni locali, ben lungi dal rivendicare un qualsiasi separatismo, non solo plaudono a queste trasformazioni, ma vi giocano persino un ruolo attivo. Il Vice Reame di Nuova Spagna (che corrisponde all’attuale Messico e America Centrale, con l’eccezione di Panama), con capitale Mexico, finanzia la resistenza contro Napoleone, mentre i deputati delle Americhe contribuiscono direttamente alla redazione della Costituzione di Cadice.
Promulgata nel marzo 1812, la Carta Liberale riceve una accoglienza entusiastica nella maggior parte delle province ultramarine e specialmente fra le comunità indiane (indios). L’Impero si trasforma in una vasta “nazione” mondiale, europea, americana e asiatica (anche le Filippine ne fanno parte). La Spagna d’oltremare costituisce “una parte integrante della monarchia”, godendo degli stessi diritti della metropoli e gli Spagnoli dei due mondi sono rappresentati nelle Cortes. Gli indios acquisiscono la cittadinanza e, nonostante gli ancora intensi e persistenti pregiudizi di colore, i meticci di sangue africano ricevono la nazionalità spagnola, senza peraltro ottenerne immediatamente i diritti politici.
Questo generoso programma presenta purtroppo anche la sua parte di ombre. Ancora prima della promulgazione della Carta, i malintesi fra i “due pilastri della Monarchia” non cessano di estendersi. Nonostante la professione di fede liberale, le nuove autorità iberiche risultano recalcitranti nel concedere un’uguaglianza concreta alle province d’oltremare. I regolamenti elettorali finalmente pubblicati, differiscono in maniera sensibile nella parte applicativa sulle due coste dell’Atlantico, riducendo drasticamente la rappresentanza americana nelle Cortes.
A partire dal 1810 alcune province oltremarine, deluse da tale atteggiamento, rifiutano di riconoscere il nuovo potere metropolitano e si dotano di istituzioni autonome: Caracas il 19 aprile, Buenos Aires il 25 maggio, Santiago del Cile il 25 settembre 1810. Questi movimenti, all’inizio “lealisti” nei riguardi della Spagna, porteranno successivamente a vere rivoluzioni politiche. Ma in quel momento la separazione dalla madrepatria non ha ancora nulla di ineluttabile. Di fatto il processo di emancipazione sudamericano ha veramente inizio sola quando viene abolito lo statuto coloniale dei Vice reami.
Le libertà costituzionali, l’uguaglianza dei cittadini e delle province avrebbe dovuto costituire il collante di una monarchia, allo stesso tempo mondiale e liberale. Ma, invece di tutto questo, l’ordine e lo spazio imperiale spagnolo tende a una rapida disgregazione della struttura, lasciando spazio a un insieme di Stati-nazioni, nelle quali la Spagna sarà solo una fra le altre.
Sono stati pertanto la rivoluzione e la guerra, piuttosto che la nascita precoce di un sentimento nazionale, i fattori che spiegano questa strana conclusione della vicenda, in un concatenamento temporale di rivoluzione liberale prima e di indipendenza poi.
Venezuela, il precursore
Ma anche in questo quadro di un’America inizialmente rivoluzionaria e lealista, liberale e pro-spagnola esistono comunque delle sfumature.
Il Venezuela coloniale appare come un precursore: a partire dalla fine del XVIII secolo si manifestano in questo paese dei movimenti che propugnano la rottura dei legami coloniali. Questa Capitania Generale, facente parte del Vice Reame di Nuova Granada, conosceva a quel tempo un importante sviluppo, fondato sulla esportazione dei prodotti delle sue piantagioni (canna da zucchero, cacao e indaco). La maggior parte della popolazione era composta da uomini liberi di colore in cui il meticciato tendeva a confondere la gerarchia delle caste e delle “razze”, aprendo notevoli spazi di libertà.
Il Venezuela è inoltre aperto alle influenze del pensiero dell’Illuminismo francese, scozzese, italiano. Le Antille francesi, inglesi e olandesi risultano abbastanza vicine e le idee che vi circolano, nonostante i divieti, si propagano assai rapidamente insieme alle mercanzie e agli uomini. Se il “Terrore” rivoluzionario viene unanimemente condannato, gli sviluppi della Rivoluzione vengono ampiamente discussi nel corso di convegni privati e informali (le Tertulias) che riuniscono gli ilustrados, i partigiani creoli dell’Illuminismo. A Bogotà, nonostante l’Inquisizione, Antonio Narino riesce a pubblicare nel 1794 una traduzione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. Anche il regime politico degli Stati Uniti gode di un grande prestigio nell’area ed anche la sua rivoluzione costituisce un ampio oggetto di riflessione.
Indubbiamente queste discussioni sono limitate a ristretti circoli delle élites della Chiesa, dell’Amministrazione o del Commercio. Ma la critica dell’assolutismo o degli eccessi del monopolio coloniale, e l’affermazione di un’americanità virtuosa di fronte all’Europa corrotta e servile, diventano una specie di rumore di fondo della società ispano americana, che raccoglie un certo consenso. La relativa vicinanza del Venezuela con il pensiero dell’Illuminismo e gli sconvolgimenti delle rivoluzioni nordamericane e francesi spiegano infatti la rapidità con la quale sono stati poi adottati i principi politici moderni nelle nuove strutture; anche l’azione radicale di alcuni gruppi popolari, specialmente meticci, ha rivestito un ruolo non trascurabile nello sviluppo degli avvenimenti.
E’ in tal prospettiva che, a partire dal 5 luglio 1811, alcune regioni, rifiutando la presenza spagnola, effettuano il passo decisivo: esse proclamano infatti la loro indipendenza sotto il nome di Province Unite del Venezuela sul modello delle tredici colonie dell’America del Nord. Francisco de Miranda, che aveva militato come generale nell’Armata del Nord di Dumouriez, nella Francia rivoluzionaria, gioca un ruolo fondamentale nella radicalizzazione della rivoluzione, diventando nel 1812 Dittatore del Venezuela. Nello stesso periodo alcuni stati di Nuova Granada adottano la forma di governo repubblicano. Dopo diversi ed incerti dibattiti, a tutti gli abitanti viene accordata la cittadinanza, a eccezione degli schiavi, e vengono redatte le Costituzioni delle differenti province per garantire a tutti i diritti dell’uomo e le pubbliche libertà. Come a Cadice, l’uguaglianza si trova al centro di un patto sociale “rigenerato” e diversi sconvolgimenti radicali, che nessuna precedente evoluzione sociale aveva potuto preannunciare, cominciano ad agitare le società sudamericane, profondamente divise al loro interno.
Tuttavia queste nuove indipendenze rimangono ambigue e soprattutto fragili. Tutto si semplifica però nel corso del 1814, allorché Ferdinando VII, ritornato sul trono dopo la disfatta di Napoleone, ristabilisce l’assolutismo nell’Impero, abroga la Costituzione di Cadice e scioglie le Cortes. Ormai i sudamericani non hanno altra scelta: se vogliono conservare le loro libertà appena acquisite, sono obbligati a rompere con la Spagna. La guerra fra patrioti favorevoli all’indipendenza e alla repubblica, e i “lealisti” fedeli alla monarchia iberica entra nella sua fase di radicalizzazione. E a questo punto entra in gioco la figura di Simon Bolivar.
Il grande sogno di Simon Bolivar
Ben prima del 1808 il giovane Bolivar figura fra i rari creoli che associano la libertà politica alla emancipazione. Questo aristocratico di Caracas, nato il 24 luglio 1783 da una famiglia il cui lignaggio paterno e materno risalgono al periodo della conquista, si ritrova molto precocemente orfano ed erede di una fortuna considerevole basata sul possesso di miniere e di piantagioni.
Dal 1799 al 1802, poi fra il 1803 e il 1807, compie lunghi viaggi in Europa e anche un breve soggiorno negli Stati Uniti. Mentre la monarchia spagnola entra in crisi, egli comincia a seguire la sua vocazione politica. Di ritorno a Caracas, il giovane idealista prende parte alle riunioni della Società Patriottica, dove si confondono donne, meticci e bianchi e le cui posizioni sono molto “avanzate”. E’ in tale consesso che egli pronuncia il suo primo discorso il 3 luglio 1811, in favore della Dichiarazione di Indipendenza del Venezuela, pubblicata due giorni più tardi.
Allorché i lealisti prendono le armi, Bolivar si schiera decisamente dalla parte degli indipendentisti. Ma il Venezuela indipendente non resiste alla “riconquista” spagnola, completata nel luglio 1812. Bolivar riesce però a raggiungere Cartagena delle Indie, un porto sulla costa caraibica colombiana. Lungi dall’incarnare, al primo colpo, il titano che la storia romantica del XX secolo ci ha consegnato, Simon Bolivar apre la sua carriera rivoluzionaria con uno scacco personale e collettivo, quale quello del crollo della prima repubblica a Caracas.
Tuttavia i patrioti non rinunciano alle loro idee. Lo stesso Bolivar, dopo aver organizzato un piccolo esercito, si lancia nel 1813 in una rischiosa spedizione, passata alla storia come “Campagna ammirevole”, e riesce con poco più di mille uomini, alla maniera di Garibaldi, a liberare il Venezuela nel giro di qualche settimana. Nel corso della sua marcia trionfale dichiara una guerra senza quartiere agli “Spagnoli”, ovvero agli Americani “lealisti”.
Avendo ristabilito la Repubblica del Venezuela, egli si fa nominare Dittatore (nel senso romano del termine) e si vede rimettere poteri eccezionali, limitati nel tempo. Ma a partire dal 1814 i vaccari delle piane dell’Orinoco, gli Llaneros, riprendono Caracas al grido di “Viva il Re e viva la Religione” e quello che già molti chiamano il Libertador è costretto nuovamente a fuggire in esilio ad Haiti.
Comincia a questo punto uno dei periodi più fecondi della vita di Bolivar. Egli opera infaticabilmente per imporre la sua persona e le sue idee alla causa patriottica. Primo compito è quello di unificare i differenti movimenti di guerriglia derivati dagli eserciti indipendentisti venezuelani e grenadini (colombiani). Bolivar riesce a creare un esercito disciplinato, capace di affrontare le armate spagnole in campo aperto e in terreno montagnoso, creando in tal modo l’Esercito di Liberazione (Ejercito libertador). Una struttura composta da un insieme disparato di schiavi, di transfughi Llaneros, di indiani, armati di archi e di frecce, di vecchi notabili di Nuova Granada o del Venezuela e di mercenari europei.
Nel 1818, dopo il fallimento di una nuova operazione contro Caracas, lo stato maggiore indipendentista decide di assumersi rischi inauditi. I patrioti decidono di operare laddove nessuno se li aspetta, a migliaia di chilometri dalla loro base di Angostura (oggi Ciudad Bolivar, sull’Orinoco). La scommessa sta nel fatto di realizzare un movimento a sorpresa, decisamente rischioso e inatteso, verso la regione di Bogotà - ripresa nel 1816 dal corpo di spedizione inviato dalla Spagna - e protetta dalla formidabile barriera delle Ande.
In una incredibile odissea, le truppe repubblicane percorrono migliaia di chilometri su imbarcazioni di fortuna lungo l’Orinoco e i suoi affluenti durante la stagione delle piogge, raggiungendo l’altipiano andino, per poter poi superare la cordigliera delle Ande.
L’episodio del superamento della cordigliera andina costituisce un momento epico delle guerre d’indipendenza. Gli ufficiali irlandesi Vowell e O’Leary, arruolati nell’esercito di Bolivar nel 1817-1818, hanno ricordato nei loro scritti il terrore che si impadronisce dei soldati alla vista delle alte cime montagnose, aureolate di nebbie. La maggior parte delle bestie da soma muore durante il percorso; i soldati mulatti delle piane tropicali soffrono del male d’altura (il Soroche) e di freddo, perché sono vestiti con un semplice perizoma. Riguardo il percorso, Vowell segnala che non risulta di difficile individuazione in quanto “è indicato dalle ossa umane e di animali che vi sono morti nell’attraversare il Paramos durante la stagione sfavorevole. Si vedono sulle rocce una miriade di piccole croci, piantate senza dubbio da mani pie, in memoria dei viaggiatori”.
Questo passaggio delle Ande rappresenta, mutatis mutandis, quello che per Hernan Cortes fu la distruzione della flotta durante la conquista del Messico: un punto di svolta e di non ritorno, dopo il quale, tanto per usare le parole dei soldati della Divisione Anzoategui, agli ordini diretti di Bolivar, occorreva “vincere o morire”.
La temerarietà della manovra coglie nettamente di sorpresa l’esercito del Re di Spagna e il 7 agosto 1819 la vittoria di Boyaca apre la strada di Bogotà. Questa data segna un evento fondamentale nella storia delle indipendenze americane. Gli altipiani ricchi e popolati dell’attuale Colombia diventeranno l’inattaccabile base di reclutamento dei repubblicani, da dove partiranno poi le offensive contro i “realisti” di Caracas e di Quito e due anni più tardi, il 24 giugno 1821, la vittoria di Caraboro assicurerà l’indipendenza definitiva del Venezuela. A partire dal 1819 il Libertador e il Congresso avevano lavorato al progetto per la costituzione di una Grande Colombia, che comprendeva il Venezuela, la Colombia, Panama e l’attuale Ecuador. Resta però ancora da liberare Quito e, oltre questo obiettivo immediato, Bolivar ha in mente il Perù. Eletto Presidente di un grande stato, ma preoccupato di avere le mani libere sull’esercito, egli delega i poteri civili a Francesco de Paola Santander. Nel 1822, le vittorie di Bombona e di Pichincha, nei pressi di Quito, mettono ormai la città di Lima a portata di mano.
Il culto patriottico di cui è stato fatto oggetto Simon Bolivar da circa due secoli, ha per certi aspetti offuscato la comprensione del suo pensiero. Egli non è stato il teorico della nazione (in senso moderno) e neanche l’adepto di un panamericanismo internazionalista. Egli non è stato un liberale nel senso classico del termine, né un annunciatore dell’anti-liberalismo. Non è stato neanche un cesare liberticida, nonostante le sue quattro dittature e uno stile volontariamente marziale, ma un uomo leale sul campo di battaglia.
E’ opportuno in primo luogo sottolineare la qualità dei suoi scritti. Pur non essendo un genio speculativo, Bolivar associa un indubbio fiuto politico a una vasta cultura, impregnata della filosofia dell’Illuminismo (Montesquieu, Voltaire e Rousseau) ma anche di quella, molto liberale, di Benjamin Constant, nonché del pensiero dei padri dell’indipendenza americana come John Adams, James Madison e George Washington e del fondatore dell’utilitarismo Jeremy Bentham.
Bolivar è anche un anti-conformista, senza concessioni per le illusioni dei suoi partigiani e capace di una lucidità disincantata che, verso il termine della sua vita, si venerà di malinconia. Molti spesso dimenticano che questo repubblicano convinto conosce il pensiero controrivoluzionario e ammira il regime britannico: diffidando dei sistemi politici troppo astratti, preferisce la ripartizione del potere alla inglese piuttosto che la democrazia pura.
Nel 1819 il discorso che Bolivar pronuncia ad Angostura segna una tappa fondamentale nella revisione degli ideali alla base della rivoluzione. I principi del liberalismo politico vi sono riaffermati, ma egli sottolinea anche che occorre tenere conto della complessa realtà sociale esistente. I comportamenti virtuosi da parte dei cittadini, più che le leggi, garantiscono la libertà. La società latino americana risulta “eterogenea”, “superstiziosa” e marcata nel morale da due caratteristiche che decorrono da tre secoli di dispotismo spagnolo: paura e servilismo. Occorre pertanto adattare le istituzioni alle condizioni locali, correggere l’ottimismo repubblicano di una partecipazione naturale dei cittadini alla cosa pubblica e sfumare anche alcune libertà pubbliche.
Per stabilizzare la rivoluzione è necessario, secondo Bolivar, appoggiarsi su alcune istituzioni permanenti che possano sfuggire all’incertezze del suffragio. Diversi progetti vanno in questa direzione come ad esempio la proposta di un Senato ereditario o di una censura morale. Nel 1826 egli pensa di aver trovato la formula per un compromesso fra ordine e libertà, proponendo la presidenza a vita nella costituzione boliviana, promulgata il 19 novembre dello stesso anno.
Per contro egli condanna anche il federalismo, a vantaggio di un centralismo statale e preferisce l’esercito professionale alla scelta repubblicana delle milizie. In ogni caso le sue convinzioni lo faranno passare per una persona autoritaria e liberticida agli occhi di alcuni suoi contemporanei, tanto che alcuni giovani studenti liberali proveranno ad assassinarlo nel settembre 1828.
L’indipendenza nel resto dell’America spagnola
La guerra condotta da Bolivar, per quanto possa essere eccezionale, non deve far dimenticare gli altri conflitti che infiammano nello stesso periodo l’America spagnola, emancipazioni nazionali, a loro volta, che assumono aspetti particolari in ogni provincia.
La Nuova Spagna era la regione più popolata e più ricca dei Vice reami americani. A partire dal 1810 una imponente rivolta popolare guidata da un prete di parrocchia cerca di imporre al Messico un governo autonomo. Dopo la repressione del movimento, il padre José María Morelos prosegue la lotta, riuscendo ad organizzare dei movimenti di guerriglia nel centro e nel sud del paese. E’ proprio Morelos che, il 6 novembre 1813 a Chilpancingo, dichiara formalmente l’indipendenza del Messico e un anno più tardi pubblica, ad Apatzingan, la prima Costituzione messicana.
Morelos viene però catturato e giustiziato e la lotta fra indipendentisti e “lealisti” prosegue in maniera sempre più dura e crudele, anche per il fatto che le élites creole del paese appoggiano decisamente l’esercito spagnolo.
In queste condizioni di netta chiusura l’indipendenza definitiva arriva da un tradimento nel campo “spagnolo”, in cui gli avvenimenti peninsulari giocano un ruolo essenziale. Nel 1820 una rivoluzione liberale in Spagna, sotto la guida di Riego, rovescia l’assolutismo di Ferdinando VII e ristabilisce la Costituzione di Cadice. Questo nuovo fatto contribuisce a dividere il campo dei “lealisti” ovvero “realisti” americani. Uno di questi, Augustin de Iturbide, decide di cambiare di campo, passando agli indipendentisti. Da buon opportunista, il 14 febbraio 1821, egli firma il Piano di Iguana, che segna il vero inizio del Messico indipendente.
Nel cono sud del continente (Cile, Argentina, Uruguay e Paraguay) l’attività rivoluzionaria si rivela particolarmente agitata e intensa. Il Vice Reame del Rio della Plata, rappresenta il solo territorio di cui gli Spagnoli non hanno mai ripreso il controllo dalla creazione, il 25 maggio 1810, da parte del governo autonomo della Junta di Buenos Aires. Bisognerà, tuttavia, attendere il 1816 perché venga dichiarata, nel Congresso di Tucuman, l’indipendenza della Confederazione delle Province Unite dell’America del Sud, centrata essenzialmente sull’attuale Argentina.
Buenos Aires vede però affrontarsi al suo interno le fazioni unitarie e federaliste. Le province, contrarie alla egemonia della capitale portuale della regione, arrivano a far saltare la stessa Confederazione nel 1820. L’indipendenza non segna nel caso dell’Argentina l’inizio di un vero stato nazionale, che vedrà la luce solamente nel 1853.
Questi sconvolgimenti interni non hanno però impedito al Rio della Plata di essere, in concorso con le truppe cilene, all’origine dell’esercito del generale José de San Martin, uno dei due grandi eserciti indipendentisti del continente, insieme quello di Bolivar.
Fondato nella provincia di frontiera di Cuyo, l’esercito “rioplatense” si batte contro i “lealisti” nel Cile, dove un primo tentativo di indipendenza era stato condotto, dal 1810 al 1814, dal carismatico Carrera. Nel 1818 le forze “lealiste” cilene vengono battute nella battaglia di Chacabuco e quindi in quella di Maipu e, poco dopo, viene proclamata l’indipendenza del Cile e l’instaurazione di un Governo autonomo.
Le truppe di José de San Martin, procedono quindi all’attacco di Lima. Le popolazioni del Perù e dell’Alto Perù (attuale Bolivia), nonostante lo sviluppo di numerosi movimenti di guerriglia nelle montagne, si caratterizzano però per una generalizzata fedeltà alla monarchia spagnola.
L’indipendenza in questo caso verrà imposta dall’esterno. Gli eserciti, guidati da San Martin e da Bernardo O’Higgins, proclameranno nel 1821 , dopo la conquista di Lima, l’indipendenza del Perù. Ma saranno però le truppe di Bolivar e di José Antonio de Sucre, arrivate questa volta dal nord, che, il 9 dicembre 1824, con la vittoria di Ayacucho, scacceranno definitivamente il partito spagnolo dall’America. Questa battaglia decisiva sarà il vero colpo di grazia alla dominazione spagnola nell’America del Sud.
Qualche mese più tardi di Ayacucho cade anche l’alto Perù, che, il 6 agosto 1825, dichiara la sua indipendenza. Esso si distacca da Lima sotto la spinta del generale Sucre e adotta una costituzione concepita da Bolivar, di cui assume anche il nome (Bolivia). In questo modo nasce la Bolivia moderna e la sua prima capitale costituzionale, La Plata, prenderà il nome di Sucre, da quello del suo primo Presidente.
Un continente riunificato?
Dopo la vittoria di Bolivar ad Ayacucho si afferma l’esigenza di garantire la sopravvivenza delle indipendenze appena acquisite, attraverso una unione delle repubbliche dell’ex impero spagnolo anche per impedire un possibile ritorno degli Spagnoli. Di fatto esse non hanno in comune, come era di moda ripetere all’epoca, un passato di tre secoli, una stessa lingua, una stessa religione, alle quali si aggiungono le libertà moderne, la forma repubblicana di governo e la cittadinanza? In effetti non bisogna dimenticare che l’idea di nazione non rivestiva nell’America del sud dell’epoca lo stesso senso che gli viene oggi attribuito. I creoli ragionavano più in termini politici che in termini di identità e non associavano automaticamente allo Stato i concetti di nazione e di sovranità.
Peraltro nessuno sa esattamente come definire le frontiere di queste nuove nazioni: di fatto i confini riprodurranno inevitabilmente il percorso di quelle coloniali, costringendo le neonate nazioni a identificarsi piuttosto a uno spazio giurisdizionale e a ereditare i problemi di frontiera irrisolti del passato.
La soluzione di una alleanza su scala continentale, la sola capace di dissuadere gli attacchi europei, si basa pertanto su un ideale condiviso, repubblicano e federalista. L’ecuadoriano Vicente Rocafuerte, sviluppa questa idea nel suo Sistema colombiano popolare, elettivo, rappresentativo, pubblicato nel 1823 a Filadelfia negli Stati Uniti. Ma è proprio Bolivar, che già dal 1821 ha cominciato a pensare a questa unione in maniera originale, che si adopera a creare i mezzi per realizzarla.
Secondo lui occorre associare i nuovi stati in una grande alleanza federale. Per insistenza di Santander, egli accetta di invitare dei delegati nordamericani e nel 1824 convoca un Congresso anfictionico (un nome scelto per ricordare proprio la lega delle città greche dell’antichità). Il convegno si tiene a Panama nel giugno luglio 1826, senza peraltro riuscire a riunirvi tutti gli stati ispano-americani.
Di fronte ai problemi interni che non tardano ad affiorare e a tormentare le nuove nazioni, il Trattato, firmato fra la Colombia, le Province Unite d’America centrale e il Messico, rimane lettera morta.
Il fallimento del Congresso di Panama è il triste presagio della disgregazione della grande unità politica allo stesso modo della Grande Colombia che Bolivar aveva progettato e anche realizzato. Nel 1826 la secessione di alcune città del Venezuela mette in grave pericolo questa nuova nazione attraverso il pronunciamiento delle rispettive municipalità, che erano state le uniche a sopravvivere allo sfaldamento del sistema imperiale spagnolo. Attraverso petizioni collettive, le municipalità del Venezuela e quindi quelle del futuro Ecuador, si pronunciano per la fine della Grande Colombia e per la creazione di uno “stato sovrano”. La sovranità colombiana viene in tal modo a disgregarsi, avviando un periodo di caos. Bolivar, dopo aver proclamato un ultima volta, nel 1828, la dittatura, è costretto a dare le dimissioni nel gennaio 1830. Egli decide di esiliarsi in Europa, ma la morte lo coglie a 47 anni nei pressi del Porto di Santa Marta, il 17 dicembre 1830. Con lui scompare anche l’unità della Grande Colombia.
Dalla fine del XVIII secolo ai primi decenni del XIX secolo tre grandi rivoluzioni cambiarono la faccia del mondo atlantico. Se le prime due (l’americana e la francese) sono state accettate come tali fin dall’origine, l’ultima (la rivoluzione liberale spagnola e le indipendenze latino americane) è apparsa come una malaccorta ripetizione delle precedenti. Nel momento in cui gli indipendentisti ispano-americani fondano le undici repubbliche, che vanno dalla California alla Terra del Fuoco, le forme politiche moderne (la sovranità dei popoli, il governo rappresentativo ed elettivo, la figura del cittadino, lo stato di diritto, il nuovo linguaggio sulla libertà e sull’uguaglianza) erano state già inventate dai rivoluzionari del Nord del mondo.
Questa diminutio politica pronunciata dagli storici nei confronti degli eventi sudamericani ha determinato il confinamento delle emancipazioni latino americane alla sola dimensione anti-coloniale. In definitiva, la storia delle forme democratiche delle nazioni non può essere ridotta alla sola realtà del Nord del mondo, europeo e americano e le indipendenze ispano-americane rappresentano anch’esse un momento fondamentale nella scoperta delle libertà moderne, per di più in un contesto completamente differente dai precedenti.
In ogni caso le condizioni nelle quali queste nuove nazioni sono nate evidenziano un’eredità contraddittoria: quella di regimi politici liberali governati da società chiuse e gerarchizzate. Questo originale e tipico aspetto del Sudamerica sarà anche all’origine delle tensioni interne fra società e politica e costituirà la caratteristica specifica della storia dei paesi latino-americani.
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BIBLIOGRAFIA
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Antonio Scocozza, Bolivar e la rivoluzione panamericana - Bari, Edizioni Dedalo, 1979
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John Charles Chasteen, Americanos: Latin America's Struggle for Independence - Oxford University Press, 2008
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John Lynch, Caudillos in Spanish America, 1800-1850 - Oxford, Clarendon Press, 1992
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