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Il Compagno prima del Duce
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Nicholas Farrell e Giancarlo Mazzuca, Il compagno Mussolini – Rubbettino Editore, 2013, pp. 348, euro 19,00
Sulle origine socialiste, o meglio socialrivoluzionarie di Mussolini, molto è stato scritto. Ma spesso, a parte rare eccezioni - in primis quella di Renzo De Felice -, interpretando la gioventù politica mussoliniana e la sua ascesa alla direzione del quotidiano del partito socialista, l’Avanti!, come una sorta di preview della sua svolta fascista. In pratica andando a leggere con l’infallibile senno del poi le vicende che precedettero la dittatura. Individuando così nelle scelte tattiche negli anni tra lo scoppio della Prima guerra mondiale e il 1919 i germi della marcia su Roma e di tutto quanto ne conseguì. E attribuendo di conseguenza a Mussolini dosi elevatissime di cinismo, spregiudicatezza e amoralità: mezzi indispensabili al raggiungimento di un “basso” scopo personale come la conquista del potere assoluto.
Il volume scritto da Nicholas Farrell e Giancarlo Mazzuca, giornalisti curiosi e spregiudicati, e perciò capaci di uno sguardo anticonvenzionale rispetto ai dettami accademici, vuole invece dimostrare una verità spesso nascosta se non talvolta negata. E cioè che nell’ottobre 1914 la scelta di Mussolini di abbandonare il socialismo internazionalista e la neutralità assoluta a favore di un socialismo di stampo nazionalista - come avevano già fatto i ben più potenti partiti socialisti di Francia e Germania - fu una delle scelte più importanti del XX secolo, per l’Europa e per il mondo intero. Una svolta, spiegano gli autori, praticata non da un personaggio indifferente alla suo partito o alla propria storia politica, né tantomeno da un subdolo maneggiatore di quattrini elargiti dai governi francese e inglese (si aggiunsero poi anche quelli dei socialisti francesi) per fondare il Popolo d’Italia e favorire l’ingresso in guerra con le potenze dell’Intesa. Bensì da un leader politico intriso fino al midollo di socialismo rivoluzionario. Fu così che Mussolini capì che, alla fine, l’appartenenza di classe era solo una sovrastruttura ideologica che si agitava in superficie mentre ben altro si muoveva nel profondo dell’animo umano. «Il rivoluzionario romagnolo effettuò il suo drammatico cambiamento di rotta perché era deciso a iniettare in Marx una dose di Nietzsche per liberarsi dalla camicia di forza del determinismo. Non credeva che gli uomini fossero condannati a restare inoperosi riflettendo sulla storia. Gli uomini potevano fare la storia. Potevano e dovevano agire. Il proletariato doveva fare della guerra borghese la propria guerra. Ma c’era anche un’altra cosa che la guerra fece comprendere a Mussolini: l’idea di Nazione aveva sugli uomini una presa più forte rispetto all’idea di classe». Il fascismo fu quindi un trionfo di una delle tante rivoluzioni socialiste del XX secolo: ma di un socialismo di marca nazionalista, non internazionalista.
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P. Albano e A. Della Valle, La strage di Caiazzo,13 ottobre 1943. La caccia ai criminali nazisti nel racconto del Pubblico Ministero – Mursia, 2013, pp. 130, euro 17,00
La sera del 13 ottobre 1943 sulle colline di Monte Carmignano presso Caiazzo, in Campania, alcuni soldati della Wehrmacht, comandati dal sottotenente Wolfgang Lehnigk Emden, trucidarono, senza traccia di provocazione, ventidue civili italiani, nella quasi totalità donne e bambini.
Quella strage scomparve dalla memoria collettiva per quasi mezzo secolo, così come le altre centinaia di eccidi consumati dalla furia nazista nei confronti della popolazione civile italiana. Nel 1988, a seguito di incredibili e fortuite circostanze, la Procura di Santa Maria Capua Vetere riportò alla luce quella lontana strage ed aprì un procedimento penale per scoprirne movente ed autori, conclusosi nel 1994 con la condanna di due di essi all’ergastolo.
Dopo quasi vent’anni da quella sentenza il magistrato Paolo Albano, pubblico ministero e diretto protagonista nelle indagini e nel processo, riapre i “cassetti della memoria” per rivivere l’arco di una vicenda storica e giudiziaria, che sembra scritta dalla fantasia di un romanziere.
Un giornalista e saggista, Antimo della Valle, studioso di storia ed esperto della Seconda guerra mondiale, ha contribuito con la sua conoscenza degli eventi a stimolare e sollecitare, nella ricostruzione dei fatti, ricordi, emozioni e riflessioni del magistrato nel recupero della memoria dello spietato episodio di uno dei più tragici periodi della storia d’Italia.
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G. Galasso, Liberalismo e democrazia – Salerno Editrice, 2013, pp. 100, euro 8,90
Esiste tra i due sistemi una forte distinzione storica e concettuale, ma esiste anche, comprovato dalla storia, un rapporto strettissimo fino alla reciproca sovrapposizione o integrazione. Due modelli di regimi di libertà, che la storia ha portato, pur nella distinzione delle rispettive forze promotrici, a una reciproca integrazione e al trionfo su tutti gli altri sistemi e forze del mondo moderno.
Giuseppe Galasso è storico, giornalista, uomo politico e professore emerito nella Università di Napoli Federico II.
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O. Berggol’c, Diario proibito. La verità nascosta sull'assedio di Leningrado – Marsilio, 2013, pp. 159, euro 14,00
Nel 1938 Ol'ga Berggol'c viene arrestata, con l'accusa di aver cospirato contro Zdanov, e, dopo un anno di detenzione, rimessa in libertà. Come ad altri esponenti dell'intelligencija del tempo, emarginati in quanto potenziali "nemici del popolo" e poi reintegrati nell'establishment sovietico, anche alla Berggol'c viene data di nuovo l'opportunità di partecipare attivamente alla vita culturale del paese. Dai microfoni di Radio Leningrado, nei giorni dell'assedio, con i suoi interventi radiofonici incoraggia i leningradesi a resistere in nome dell'imminente vittoria divenendo progressivamente l'emblema della stoica e grandiosa resistenza, mentre la propaganda ne strumentalizza l'immagine celebrandola in tutta la sua retorica. Ma, testimone tragica e insieme ambivalente del suo tempo, la Berggol'c nei giorni dell'assedio registra con assoluta lucidità, minuziosamente, nelle pagine del suo diario segreto, nascosto in un cortile di Leningrado, l'angosciosa quotidianità della città con i suoi lutti, le privazioni, interrogandosi sulle laceranti contraddizioni che attraversano la società sovietica. Alternando annotazioni di carattere privato, personale, a riflessioni sulle condizioni del popolo russo e sul tragico vissuto staliniano, comporrà a poco a poco il quadro autentico di una realtà spesso deformata dalla propaganda e negata dal regime.
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E. Vanzini, L' ultimo Sonderkommando italiano. A Dachau ero il numero 123343 – Rizzoli, 2013, pp. 135, euro 16,00
Il destino di Enrico sembra segnato fin dalla sua nascita. Nato a soli diciannove giorni dalla presa del potere di Benito Mussolini, vede la sua gioventù interrotta, come quella di molti suoi coetanei, dalla campagna di Grecia. A diciotto anni parte per Atene, dove per la prima volta vede all'opera i militari nazisti: attrezzati, precisi, efficienti, ma anche ubriachi, rabbiosi, vendicativi. Quando all'indomani dell'8 settembre l'Italia rompe l'alleanza con Hitler, sono proprio quei temibili soldati a caricarlo su un treno insieme ai suoi commilitoni. I vagoni sono stipati, poco o nulla da mangiare e bere, un viaggio di tre settimane. Dopo i lavori forzati a Ingolstadt e una condanna a morte scampata a Buchenwald, nell'ottobre del '44 Enrico arriva a Dachau, dove imparerà la lezione più dura della sua vita: l'orrore non conosce limiti. Nel campo la morte è il pane quotidiano, un incubo con cui si è costretti a convivere e Enrico lo sa meglio di chiunque altro. Lo hanno arruolato nel Sonderkommando, un'unità di internati destinata a sbrigare il lavoro di cui neanche le SS si vogliono occupare. Enrico trascorre i suoi giorni a Dachau raccogliendo cadaveri nelle camere a gas per poi portarli ai forni crematori: carica corpi senza vita e poi ne recupera i resti carbonizzati. I suoi ricordi sono la viva testimonianza della Shoah, un massacro che ancora oggi qualcuno ha il coraggio di negare. Enrico è sopravvissuto a quell'orrore, ma per sessant'anni non ha mai parlato...
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S. Shepard, La battaglia di Filippi – Libreria Editrice Goriziana, 2013, euro 18,00
Uno sguardo sulla vita quotidiana di uomini e donne in guerra, passati e presenti; le loro motivazioni, l’addestramento, le tattiche, l’armamento, le imprese. Resa immortale dal Giulio Cesare di Shakespeare, la battaglia di Filippi rappresentò lo scontro finale tra le forze di Antonio e Ottaviano da una parte e quelle di Bruto e Cassio dall’altra. In questo libro Si Sheppard prende in esame la campagna intrapresa intorno alla città macedone di Filippi. Nella sanguinosa battaglia i legionari si scontrarono con altri legionari, finché l’esercito di Bruto fu sconfitto: Bruto stesso scappò e si suicidò il giorno dopo. Cadde la causa repubblicana, e Roma restò nelle mani del secondo triumvirato. Ricco di fotografie, immagini di battaglia e dettagliate mappe che illustrano il corso degli scontri sulla terra e sul mare, questo libro racconta la storia della campagna che fece suonare l’ultimo rintocco del movimento repubblicano.
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D. Abulafia, Il grande mare. Storia del Mediterraneo – Mondadori, 2013, pp. 695, euro 35,00
Da sempre il Mediterraneo - il "mare fra le terre" - è stato un crocevia di popoli, culture, lingue, religioni, che ne hanno fatto il cuore pulsante del Vecchio Mondo. A segnare la storia del "grande mare", il nome con cui era noto nella tradizione ebraica, non sono stati, secondo lo storico britannico David Abulafia, il clima, i venti o le correnti, ma gli uomini (navigatori, mercanti, missionari, condottieri, crociati, pellegrini, pirati), che, mettendo in contatto le regioni più remote di questo vasto bacino, lo hanno reso "forse il più dinamico luogo di interazione tra società diverse sulla faccia del pianeta". Anziché richiamarsi a un'astratta e statica "identità mediterranea", l'autore pone l'accento sul cambiamento di una regione che nel corso dei millenni ha visto sorgere e tramontare imperi e civiltà, è stata teatro di feroci battaglie per il monopolio politico e commerciale, e che infine, prima con la scoperta della rotta atlantica e poi con l'apertura del canale di Suez, ha perso sempre più importanza nelle relazioni e nei commerci internazionali, per trovare la sua nuova e insospettata vocazione nel turismo di massa e diventare, più recentemente, il complesso scenario di incessanti flussi migratori. Al centro di questa affascinante ricostruzione non ci sono soltanto gli eventi e i personaggi più importanti della storia economica, politica e militare, ma anche figure solo apparentemente di fondo.
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